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Cultura Visione

Fari di Calabria

Il nostro progetto di promozione sociale come APS (Comunità Benedict) ha come passaggio ineludibile il recupero della memoria storica e civile della cultura mediterranea in Calabria. Cultura che la Calabria esprime in modo ormai tacito e quasi archeologicamente dimenticato, ma che può rivivere promuovendo il turismo verso i luoghi della memoria dell’universo mediterraneo, rammentato dalle sue stesse coste. Quelle che circa 4.000 anni fa erano già chiamate “Italia” (terra del mitico Re Italo) e poi offrirono riparo agli Achei, ai Fenici, alla Magna Grecia, ai Romani.

Lo storico Fernand Braudel nella sua fondamentale opera Il Mediterraneo (Lo Spazio, La Storia, Gli Uomini, Le Tradizioni)” si è interrogato così sul profondo senso di questa Cultura: “Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre.” Altrove, così l’Autore risponde alla domanda: “Il Mediterraneo è un insieme di vie marittime e terrestri, collegate tra loro, e quindi città che, dalle più modeste alle medie, alle maggiori si tengono tutte per mano. Strade e ancora strade, ovvero tutto un sistema di circolazione”.

Faro di Punta Palascia (Otranto)

La nostra iniziativa di promozione sociale intende mostrare, perciò, come la navigazione delle civiltà e delle culture da e verso la Calabria e le sue coste sia proprio il profondo senso dell’attrazione turistica verso il paese.

Supportata da queste validissime fonti storiche, dedicheremo il presente articolo ai Fari della Calabria. Proprio queste strutture esemplificano la bellezza del viaggio per mare attraverso il Mediterraneo e il suo profondo senso di sovrapposizione di civiltà, e racchiudono tutto il senso dell’offerta turistica calabrese.

OMBRE DEL MITO MEDITERRANEO: I FARI CALABRESI

Proprio i fari contengono misteriosamente condensata nella loro muta presenza il ricordo di questa grande eredità mediterranea, l’universo umano delle diverse civiltà che continuamente sotto l’occhio vigile delle loro luci notturne sono approdate in rade e porti sicuri…portando in dono il mondo della cultura, dei commerci, del sapere e il loro continuo lottare, confrontarsi e mediarsi.

Isolati lungo gli 800 Km di costa che delimitano la regione, i fari calabresi si trovano su litorali molto vari: ora, selvaggi come scogli e falesie a picco sul Tirreno, ora levigati e dolci come le dune ioniche.

I fari occupano nell’immaginario collettivo della civiltà mediterranea un posto particolare, perché hanno avuto il ruolo di guida e di garanzia delle sicurezza dei traffici e degli approdi, una sorta di segnaletica stradale per gli ultimi 3000 anni, nei sentieri marini del grande bacino interno delle nazioni che è il Mar Mediterraneo.

Faro di Capo Suvero (Calabria, Gizzeria)

Pertanto, non sono semplici edifici, – sono vere istituzioni che potrebbero raccontare secoli di Storia e di Civiltà stratificati.

Inoltre, sono presenze rassicuranti nella vita di tutti i giorni per i naviganti della Calabria. Sono infatti torri, che con tutta la loro imponenza racchiudono, come un simbolo o un’icona, tutto il senso della solitudine e della forza interiore di generazioni di marinai. Il loro travaglio quotidiano e lo sforzo di pescare, trasportare merci e fare cabotaggio.

La visibilità dei Fari dal mare aperto definisce, nello stesso tempo, tutto il fascino romantico di queste torri luminose, perché per essere visibili devono spesso essere costruite in punti impervi, difficili da raggiungere e svettanti. Non da poco è poi il profondo senso di altruismo che è manifestato dalla loro luce, dai loro specchi e cristalli, che proiettano nei naviganti la rosea prospettiva di un porto sicuro, di una posizione, di una certezza della terra sia in caso di nebbia che di pioggia.

Il loro valore, tuttavia, non diminuisce neanche durante il bel tempo, perché in una notte serena offre la sensibile presenza della terraferma e delle case a cui ritornare.

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I Fari calabresi non si sottraggono a questa missione o destino. Partendo da Scalea, nell’Alto Tirreno cosentino, già si fanno incontro ai turisti due svettanti edifici dipinti di rosso, con merlatura e fregi bianchi e una grande lanterna quadrata (attivi già dal 1922, come faro e alloggio del farista).

Poi si susseguono, lungo la costa cosentina, i fari di Capo Bonifati e quello antico di Paola, la “Torre del Soffio”, fortino di difesa del XVI secolo.

L’area costiera della provincia di Reggio Calabria è, invece, la “finis terrae” del piede Calabrese della penisola italiana. Qui, il nostro itinerario, prima del giro di boa, ci permette di guardare ammirati alla torre bianca su base nera del faro entro le mura del Castello Ruffo di Scilla; poi si possono guardare i lampi rossi del Faro di Punta Pezzo, a Villa San Giovanni; di seguito da una veloce imbarcazione si può rimirare il Faro di Capo dell’Armi; seguirà quello di Capo Spartivento e, infine, la torre luminosa di Punta Stilo, che getta i suoi raggi intermittenti sul Parco Archeologico dell’antica Kaulon, con le sue rovine giacenti da quattro millenni, a ricordare le origini di tutto l’occidente e dell’Europa.

Tra i fari che costellano le coste calabresi sul versante ionico possiamo, invece, citare in modo speciale quelli di Capo Colonna e di Punta Stilo, che fanno da sentinella alle coste sabbiose del litorale tra Crotone e Stilo. Entrambi occupano da millenni i promontori essenziali alla navigazione degli antichi Greci, Fenici e Achei, i quali, anziché lanciarsi in mare aperto, costeggiavano le linee di costa, svolgendo solo un comodo cabotaggio. Le reliquie fossili di questi antichi fari sono state lungamente studiate, come tra i più importanti siti della Magna Grecia, dal famoso Paolo Orsi (1859-1935), vero fondatore dell’archeologia calabrese.

La lunga trafila della navigazione sul versante ionico ci porta infine al Faro di Porto Vecchio, a Crotone, a quello di Capo Rizzuto, al già citato Capo Colonna, quest’ultimo capace di lanciare sfolgoranti lampi bianchi che illuminano a giorno il mare di Le Castella (KR).

Faro di Capo Spartivento (RC)

OCCASIONE PER IL TURISMO

Se i fari emanano solitudine, nel loro muto presentarsi nella distesa marina, tuttavia sono anche un segno della presenza umana, da cui sono abitati. Sono strutture infatti inscindibili da quelle dei guardiani, i veri custodi della luce per le rotte notturne dei naviganti, dato che a loro spetta o avviare i fari o sorvegliare la loro accensione automatica.

Da tempo, le torri di guardia, non contengono, dopo i progressi della tecnica, semplici falò di legna. Il fuoco è stato sostituito dal petrolio, dal gas, dall’elettricità, inoltre l’efficienza dei segnalatori luminosi è stata migliorata con sistemi di specchi concentrici, fino all’attuale automazione e al controllo da remoto.

Faro di Punta Palascia

Oggi resistono solo alcuni vecchi guardiani dei fari, ma sono ormai dei professionisti, dei lavoratori altamente specializzati che, forse, nell’immaginario, mantengono un po’ del fascino dei loro predecessori.

Molta storia è passata dall’ellenistico Pharos di Alessandria, una le sette meraviglie del mondo antico, sino alle costruzioni odierne, passando finanche per la Statua della Libertà, faro di New York dal 1902, mentre in Italia i fari più belli paesaggisticamente sono oggi, invece, il Faro di Punta Palascio ad Otranto e quello di Capri.

Faro di Capri e scorcio mediterraneo

La storia e la natura sono quindi ottimi motivi per guardare ai fari come occasioni di turismo. Si tratterebbe di un aspetto fondamentale, questo, anche per fare crescere la Calabria, per amarla e per svelarne le meraviglie, impensate anche da parte dei residenti che vi sono nati.

Sarebbe un‘occasione per tutti coloro che desiderano inoltrarsi nel connubio conoscenza/bellezza che promana dai fari e dal loro legame con l’archeologia.

I colori dei fari di oggi infatti sono un caleidoscopio di sensazioni per il turista. A parte le tracce archeologiche indissociabili dalla loro costruzione, i loro contorni ambientali variano dal color sabbia, bianco o dorato del litorale, allo smeraldo della vegetazione, al blu del mare. Anzi il mare, naturale sposo della costa, lambisce instancabilmente l’ambiente dei fari, ora accarezzandolo, ora stringendolo in abbracci impetuosi e spumeggianti. Il mare calabrese tra l’altro è composto di pietre pregiate: lo zaffiro, l’acqua marina, il turchese, la giada, l’ametista. I fondali, invece, offrono costanti giochi di luce e la purezza delle acque contribuisce a donare una varietà cromatica unica ai due mari del Tirreno e dello Ionio.

Il connubio fari-archeologia accompagna il turista da Capo Suvero fino a Punta Alice (KR), passando per i resti del Tempio di Apollo Aleo (V secolo), per concludersi sotto il Faro di Capo Trionto, a Rossano Calabro (CS), estremo punto dell’arco di costa cha dal Tirreno termina nello Ionio.  

E’ chiaro quindi come i comuni di Cirò Marina, Crotone, Isola Capo Rizzuto, Monasterace, Palizzi, Motta San Giovanni, Villa San Giovanni, Scilla, Ricadi, Gizzeria e Paola potrebbero avere dei benefici per il turismo.

Perché conoscendo i fari e la loro storia, il turismo potrebbe conoscere anche il territorio ai quali appartengono, la cui storia ed enogastronomia sono ancora un po’ esclusi dai circuiti turistici tradizionali.

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Il seguente excursus dei principali fari calabresi si muove dal Nord del Tirreno allo Ionio, iniziando dalla torre di Capo Suvero e terminando con quella di Punta Alice.

FARO DI CAPO SUVERO

Il nostro itinerario inizia tra i fari della Calabria, soffermandosi sul tratto catanzarese di Capo Suvero dove, accanto a una torre poligonale più antica, svetta quella quadrata di 25 metri.

Faro di Capo Suvero

Nei dintorni solo alcune torri di avvistamento ormai diroccate, che mantengono il fascino degli avvistamenti saraceni. Il punto è anche il tratto di minore estensione della Calabria.

FARO DI CAPO VATICANO (COSTA DEGLI DEI)

La Costa degli Dei ha un nome maggiormente evocativo, in termini di miti e leggende mediterranee.

La notte il faro accoglie le imbarcazioni coi bagliori notturni dei fari di Vibo Valentia e Capo Vaticano (VV), due torri cilindriche immerse in panorami mozzafiato.

Faro di Capo Vaticano (Vibo)

Ma, in particolare, il faro di Capo Vaticano è uno dei pochi fari che non è oscurato verso terra, per cui anche la gente del luogo riesce ad apprezzare il suo fascio di luce durante la notte.

Il faro è in posizione suggestiva a pochi metri dallo strapiombo sugli scogli di Ricadi, in vista delle incantevoli Isole Eolie.

FARO DI SCILLA

Il faro è costituito da una torre di circa 4 metri di altezza. E’ ospitato dalla rupe di Scilla, una massa rocciosa che si staglia molto alta a picco sul mare.

Faro di Scilla (RC)

Essendo posto dentro il castello dei Conti Ruffo, è un invito naturale a visitare turisticamente Scilla, una delle più rinomate destinazioni del Mar Tirreno. Infatti, dal faro si gode la vista di Scilla durante il tramonto, un tratto della notissima costa viola, da cui osservando il mare, si può rievocare il mito omerico di Scilla e Cariddi.

FARO DI PUNTA PEZZO

Questo faro è immerso nella città e con una splendida vista verso la Sicilia. E’ visitabile mediante una scala a chiocciola interna ed è un faro moderno, con un quadrante totalmente rosso.

Faro di Punta Pezzo (RC)

Il faro di Punta Pezzo in Calabria è gemellato con quello di Capo Peloro in Sicilia. Infatti, entrambi indicano l’ingresso nello Stretto di Messina: il primo con segnalazione di colore rosso, il secondo verde.

FARO DI PUNTA D’ARMI

Il Faro di Capo dell’Armi ha luci bianche intermittenti, è eretto su una torre ottagonale a strapiombo sul mar Ionio nella Città di Motta San Giovanni (Reggio Calabria) e risulta essere il più antico tra i fari della provincia reggina. Infatti, il più recente è il Faro di Punta Pezzo a Villa San Giovanni.

Fa da premessa, in direzione nord, al Faro di Capo Spartivento ed ancora, sempre in provincia di Reggio Calabria, al Faro di Punta Stilo che si trova sul promontorio omonimo, nel comune di Monasterace e, infine, al già menzionato Faro di Scilla che si trova su una terrazza del castello Ruffo di Scilla sullo stretto di Messina (riferimento obbligato per le navi che imboccano lo Stretto da Nord).

Faro di Punta D’Armi (RC)

Il faro di Punta D’Armi offre una magnifica visuale sull’Etna, il vulcano più alto d’Europa ed è poco distante dalla panoramica strada statele (SS) 106 a strapiombo sullo Ionio.

FARO DI CAPO SPARTIVENTO

E’ una costruzione bianca, a due piani, risalente al 1867, sormontata da una torre quadrata alta 19 metri, che si eleva sul mare per 81 metri, e che lancia una luce visibile da 11 a 30 miglia.

Il Faro di Capo Spartivento in Calabria è tra i luoghi più a Sud del Sud, che illumina la distesa marina da oltre un secolo e mezzo. Si trova a Capo Spartivento, al confine tra Palizzi e Brancaleone, sul litorale ionico della città metropolitana di Reggio Calabria. E qui, lungo la Strada Statale 106 piena del profumo dei gelsomini, si trova anche una lapide, che sovrasta l’ingresso della torre su base quadrangolare con edificio ad un piano, e riporta la posizione del faro in base al meridiano di Parigi, passante per il centro dell’Osservatorio della capitale francese (2° 20′13,82″a est di Greenwich).

Il faro è stato rinnovato internamente ed esternamente nel 1910. Dal 1935 è alimentato ad elettricità, è meccanizzato dal 1995.

Capo Spartivento

Il capo ha persino una storia intrecciata con il mito; il suo nome antico era infatti Heracleum Promontorium, o Erculeum Promontorium (il promontorio di Eracle, Ηράκλειον ἃκρα) e pare che Ercole, l’eroe figlio di Zeus e Alcmena, abbia riposato qui dalle fatiche ordinate da Euristeo. La zona è anche il confine antico tra le due colonie Magno greche di Rhegion e Lokroi Epizephirioi. Cita il faro anche il geografo greco Strabone (Geografia, VI, 1, 7): “Segue poi il promontorio di Eracle, che è l’ultimo ad essere rivolto verso Mezzogiorno: infatti chi doppia questo capo naviga direttamente spinto dal Libeccio, fino al promontorio Iapigio; poi la rotta inclina sempre più verso Settentrione e verso Occidente sino al golfo Ionio (Parte meridionale dell’odierno mar Adriatico). Dopo il promontorio di Eracle si trova quello di Locri, detto Zefirio, che ha il porto protetto dai venti occidentali e da ciò ne deriva anche il nome“.

Altra leggenda cristiana, invece, narra dell’eremita Sant’Elmo, che viveva di questua in una grotta poco lontana e che, dovendo provvedere anche alle sette orfane di suo fratello, riceve la visita miracolosa di San Cristoforo. Infatti l’eremita non sapeva come sfamare le nipoti e San Cristoforo gli ordina di piantare, a mò di faro, una lanterna sugli scogli, per salvare i poveri contrabbandieri che andavano per mare. Da quella sera, Sant’Elmo, fece come gli era stato detto e ricominciata la questua, non passò giorno che non tornasse nella grotta con le bisacce piene di ogni bene, dono dei contrabbandieri grati per l’aiuto.

La leggenda è dunque che, dopo tanti secoli dalla sua morte, Sant’Elmo, scenda ancora dal cielo presso Capo Spartivento con la lanterna accesa e salvi le navi che stanno per naufragare, ormai custode del promontorio e del bianco faro di Capo Spartivento.

FARO DI PUNTA STILO

Il faro di Punta Stilo, come quello di Capo Colonna, è un luogo intriso di storia e pertanto magico. La sua torre svetta su una collinetta che si affaccia sugli scavi archeologici dell’antica Kaulon, lungo il percorso della statale 106, non lontano dal museo archeologico di Monasterace.

Il faro illumina i resti della colonia greca di Punta Stilo, un luogo dove trovò le sue origini Kaulon (oggi detta Caulonia) in un momento indeterminato del VII secolo a.C.

Faro di Punta Stilo (RC)

Della colonia greca rimangono alcuni blocchi abitativi di età ellenistica e pregevoli scavi di epoca achea nella vicina Monasterace.

FARO DI CAPO COLONNA (CROTONE)

Il faro è ornato presso Capo Colonna dalla sede del santuario greco di Hera Lacinia, che a breve distanza dalla costruzione marina è uno dei più famosi siti archeologici del Mediterraneo.

Faro di Capo Colonna (KR)

Il tempio, per così dire sorvegliato dalla torre luminosa del capo, è esso stesso un faro di cultura di immenso valore per la civiltà occidentale, dato che testimonia in modo visibilissimo il passaggio della cultura greca da Crotone, con la sua pregevole colonna dorica e con la comprovata presenza di Pitagora in epoca magno-greca (e la sua fondamentale scuola matematica).

Il museo poco discosto contiene infatti un’abbondanza di reperti, che, per qualità e varietà di preziosi oggetti qui venuti alla luce, prova la devozione degli antichi Crotonesi alla dea nel V secolo a.C.

Capo Colonna (vista ravvicinata)

FARO DI PUNTA ALICE

Chiude l’excursus dei fari calabresi iI faro di Punta Alice, il quale sembra piuttosto una cattedrale nel deserto con la sua costruzione, che si erge a circa 200 metri di distanza dalla costa.

Punta Alice ed il suo faro

La spiaggia è lontana, ma dal fondale in barca è possibile apprezzare tutto lo splendore dello Ionio, un invito al turismo, ad attraversare il mare calabrese, con i suoi colori cangianti dallo zaffiro all’acqua marina, al turchese, la giada, l’ametista…

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Architettura vernacolare

Portali dei borghi calabresi

Uno degli elementi architettonici più belli e suggestivi in un borgo è rappresentato dal portale di accesso dell’abitato, spesso un semplice arco o, qualche volta, persino una vecchia breccia nelle mura appena accennata come due stipiti sormontati da un architrave.

Si tratta alle origini spesso dell’accesso a poche casupole cinte da mura. Ma oggi come ieri, varcare questa soglia è la promessa del ritorno a casa, il tornare ad un luogo protetto, lontano dalla campagna e dalle sue fatiche per gli agricoltori, cioè da una campagna mediterranea sempre un po’ avara in Calabria coi suoi terreni argillosi, oppure dal lavoro svolto in città per i pendolari del borgo o, durante i mesi estivi, per i villeggianti è  il ritorno dal mare nella canicola in cerca della promessa di frescura al bar del paese, con qualche granita vicino alla fontana e in vista della Chiesa barocca.

Porta del Castello di Roseto Capo Spulico

Invece, questo entrare anche un po’ banale attraverso la soglia vuota del portale era nel medioevo l’ingresso in un mondo del tutto magico, quello dell’autentica sicurezza dai pericoli, della fine della paura e dell’angoscia nell’attraversamento di campagne insidiose, campi e rive intestate da briganti, predoni, ladri comuni, saraceni ed altre insidie dell’epoca, arrivando finalmente…all’interno del “Baglio” (con questo termine di definisce nel Medioevo un piccolo complesso abitativo con funzioni di difesa militare e di raccolta dei prodotti della terra, antesignano di quelli che in futuro potranno diventare feudi e borghi).

Porta del Castello della Valle (Fiumefreddo, CS)

La porta del Baglio dischiudeva il mondo civile, la difesa, la sicurezza, il focolare domestico, il presidio della proprie poche sostanze. Il Baglio era, insieme alla sua porta fortificata di ingresso, il nucleo originario del successivo abitato borghigiano, poi destinato a diventare paesino, paese, cittadina e infine, eventualmente, città.

Porta del borgo di Gerace

E di solito un “Baglio” aveva un presidio di guardie, presso la sua importantissima porta di accesso, che assumeva l’aspetto spesso di un portale, altre volte un semplice portone, molto di rado una massiccia porta fortificata in ferro e legno.

Porta e mura di Rossano

IL PORTALE DEL BAGLIO E LE ORIGINI DELLA CIVILTA’ DEL BORGO

Nel medioevo, in Calabria, ma anche altrove nel meridione, il Baglio deriva dall’antica Villa romana, l’originaria unità agricola e difensiva dei Latini, colonizzatori delle terre conquistate o stabilmente ridotte a “provincia”.

Interno del borgo di Gerace, porte e mura

Poi nel medioevo lo schema tipico del baglio riprende, amplia e diversifica l’antica struttura romana. Infatti da allora comprenderà, accanto alla costruzione centrale chiusa all’esterno da alte mura e con le aperture tutte rivolte all’interno della corte o cortile, – anche nuove unità immobiliari satelliti, all’interno e all’esterno (dependance, stalle, chiesa, armeria, ecc.).

Arco di ingresso a S. Giovanni in Fiore

Le mura perimetrali, senza aperture, erano una protezione contro nemici e intrusi.

Arco di ingresso a Nicotera

Ma in tutti i casi, alla fine, un portone d’ingresso permetteva l’accesso al grande cortile, ai carri agricoli e alle carrozze adibite al trasporto di persone.

Arco di entrata nel borgo di Gerace, sopraelevato con difese

Nell’edificio centrale con uno o più piani alti abitava il “padrone” e la sua famiglia. I piani bassi erano destinati ai contadini e al deposito delle provviste e dei foraggi.

Chiesa nella corte del borgo di Gerace

Se poi all’interno della corte o a suo esterno si sviluppavano altre casupole, – questo villaggio presto ingrandiva, dando luogo al nucleo dei futuri borghi.

Archi della Chiesa ad Amantea

Infatti, all’interno del cortile erano presenti anche le stalle. Altri locali poi man mano sorgevano e ampliavano la superficie da racchiudere tra le mura, locali che chiaramente servivano per il deposito degli attrezzi da lavoro, come ricovero delle carrozze padronali, oppure come abitazioni per familiari, servi, sacerdoti e altre figure necessarie all’economia del Baglio.

Archi e mura a Corigliano

L’etimologia della parola baglio riporta ancora in sé questi significati difensivi, militari e agricoli. Infatti, nel tardo latino medievale ballium è il cortile circondato da alti edifici o muri; molto simile alla parola siciliana balarm (casa fortezza), in cui un vassallo detto baiulo risiedeva e dominava.

Portone con stipiti

Vi è anche l’arabo bahah (cortile). Il verbo “βάλλω” (ballo) in greco antico significava “lanciare pietre e giavellotti”, “gettare giù da una rupe”, “colpire con frecce” (il che rimanda all’uso come fortezza militare del ballio).

Il termine è legato al piccolo arco detto balestra. In francese baille è il “luogo chiuso ma scoperto con peculiarità difensive”, che in Inghilterra si trasformò in bailey con il significato di “mura esterne di un castello” o “corte delimitata da mura”.

Ne rinascimento e fino al seicento il baglio coincide con il fenomeno della ri-colonizzazione di vaste aree agricole da parte dei “baroni”, i quali ricevevano vere e proprie “licenze di ripopolamento” (le Licentiae populandi), tramite la quale i nobili fondavano vere e proprie cittadine (le cosiddette “città di fondazione”).

Portone civile a bugnato

IL PORTALE COME ELEMENTO ARCHITETTONICO

Ora, per quanto detto, niente è più bello, sicuro e protettivo, anche a livello estetico, della “porta” del ballio o del successivo “borgo”.

Porta dipinta nel borgo

Dal latifondo si entrava nel feudo e da qui alle proprie case, si trattasse del popolo minuto, dei contadini, degli artigiani o del padrone del borgo. Tutti tornavano a casa dal portale principale.

Da qui si portava al baglio l’acqua dalle sorgenti. Dalla porta, spesso sopraelevata, era facile controllare il territorio e le stesse tavole di legno del portone miste a piastre, offendicoli e spuntoni di ferro erano, all’aspetto esteriore, già dei veri e propri luoghi fortificati, con poche piccole finestre esterne in legno, munite di inferriate, – che avvertivano con spavento gli intrusi dell’accoglienza poco ospitale che avrebbero ricevuto dalle mura (con lancio di pietre, frecce, olio bollente, ecc…un lancio di oggetti composito e pericoloso per gli assedianti di sotto, come bene avverte il termine greco “ballo”, lanciare, cui si ispira, pare, il termine “Baglio”).

Alle volte gli stipiti della porta erano in muratura di pietrame in opera con malta comune, di spessore variabile da un minimo di 0,50 metri fino a un massimo di 1,50 metri, rinforzate come le parti angolari dei muri, con gli architravi e gli stipiti in pietra scalpellinata. Un vero e proprio bastione!

Facciata del Santuario di S. Francesco (Paola)

La promessa di starvi dietro, però era allettante. Dal portale ci si affacciava immediatamente sull’interno del baglio-borgo, si vedevano i magazzini, la stalla ed una piccola chiesa (simboli di pace e quiete ritrovata).

Corte del convento di Paola

Spesso sulla porta si trovava una torre o una torretta di guardia (talvolta in Calabria alcune cittadine hanno, perciò, ancora nomi evocativi come “Torretta di Crucoli”).

Molte volte il portale d’ingresso dimostra influenze straniere, come quello con arco ad ogiva in stile arabo e delimitato da possenti mura coronate da merlature, come a dire che gli invasori erano stati assimilati o copiati anche nelle strutture difensive.

Portale ad Archi a sesto acuto (Fontana del santuario, Paola)

Altre volte il portone era sormontato da un balcone, a simbolo di una pace civile ormai raggiunta per sempre.

Esistono, d’altra parte, anche borghi molto antichi che hanno ancora la forma quadrangolare dei bagli padronali, con corte chiusa su tutti i lati, comunicante all’esterno a mezzo di un grande portone di legno con chiodatura eseguita a disegni orientali. In questi casi, il portone è spesso inserito in un portale ad arco a sesto pieno ribassato, fornito di rosone in ferro battuto. Qui il senso estetico della pace ha del tutto dimenticato i tempi bui delle difese casa per casa ed il portone è una semplice conquista della bellezza…

Sono invece del primi del ‘600, quelle vetuste architetture di quartiere, costituite da un corpo centrale con magazzini e da una grande cappella sul lato destro dell’interno, con un fontanile al centro. In questi casi spesso vi è un alto portale, tuttora decorato con grosse bugne rilevate. Il gusto barocco esprime ormai la stanchezza, l’oblio delle origini…ed oggi le città e le metropoli surclassano i borghi, che si spopolano, che non servono a nulla…forse, ma forse no!

Scilla (galleria dal porto turistico), archi come porte sul mare

…Basta entrare nel vecchio Borgo-Baglio, magari oggi è periferico e campagnolo come un “Barrio” dove tutti si conoscono, ma qui si può sorseggiare un tè verde all’ombra di un giardinetto, leggendo le ultime notizie da un tablet e… chattare con i propri amici, a Stoccolma in Erasmus.