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Riace, archeo-star

Riace è un borgo affascinante, sicuramente, in quanto porta in sé tutto il retaggio della complessa mescolanza di lingue e popoli che ha dato vita alla Calabria e all’Europa Mediterranea. Secondo alcune teorie, infatti, il toponimo potrebbe derivare da lingue del Medio Oriente, portate nell’estrema penisola italiana durante il terzo millennio prima di Cristo. Come Reggio e Roghudi, Riace avrebbe la sua radice nell’amarico ruha (respiro, vento) seguita da un suffisso indicativo di località (-ake, -adi). Riace potrebbe leggersi come “Ruha-ake” , il posto del vento. Strabone (Geografia VI, 7) spiegava la denominazione di località vicine (il promontorio Zefirio, Capo Spartivento, e l’antico attributo di Locri, Epizefiria) con il frequente vento occidentale zefiro che caratterizza queste località, molto rilevante per un popolo di marinai.

Il borgo di Riace

RIACE OGGI: TRADIZIONE E OSPITALITA’

La cultura riacese è strettamente legata al bacino greco ed egeo, sia perché fondata da coloni greci sia perché per lungo tempo legata all’eredità dei monaci basiliani. Ne è testimone, oggi, la festa, celebrata i giorni del 25, 26 e 27 settembre, dei santi greco-ortodossi, i due medici Cosma e Damiano. I devoti che vengono dai paesi limitrofi (e non solo) hanno l’usanza di raggiungere il santuario a piedi, come segno della loro fedeltà, e ringraziano ogni volta i santi con doni, canti e danze. Viene festeggiato anche il braccio di san Cosma, la seconda domenica di maggio.

Archeo-star, Statua A

Riace è anche simbolo, del tutto moderno, delle migrazioni senza fine, che nei nostri tempi vedono i popoli di tutto il bacino mediterraneo fuggire dalla povertà, dalle guerre, dal terrorismo e dalla barbarie per affollarsi in rischiosissimi viaggi verso le coste calabresi. Proprio per questo motivo, dal 2004 al 2018 la cittadina calabrese ha ottenuto notorietà anche in ambito internazionale, in virtù del suo programma di accoglienza a rifugiati e migranti, promosso in particolar modo da Domenico Lucano, attivista eletto per tre volte sindaco di Riace.

Lucano, ex sindaco di Riace

Il sistema di accoglienza in vigore nel comune nel corso di questi ultimi quindici anni, giornalisticamente definito modello Riace, si articolava in diverse azioni, prima di essere oggetti di critiche, polemiche e infine purtroppo controversie giudiziarie: 1) ottenimento di fondi regionali o mutui finalizzati alla ristrutturazione delle case dismesse, 2) offerta di ospitalità a migranti e richiedenti asilo e 3) il loro impiego in laboratori artigiani di tessitura, lavorazione del vetro e confettura.

Architettura vernacolare di Riace

Da segnalarsi anche la creazione dell'”euro di Riace”, una moneta locale in tagli da 1, 2, 10, 20, 50 e 100 euro utilizzabile anche dai turisti.

Nel 2017 risultavano 550 migranti ospitati a Riace, ma è stato stimato che per la cittadina ne siano transitati almeno 6 000.

Un manto di case sulla collina

RIACE COME SINONIMO DI ARCHEOLOGIA MEDITERRANEA

Riace è comunque universalmente nota per il ritrovamento nelle acque marine antistanti di due capolavori in bronzo dell’arte Greco-antica: le due sculture dei cosiddetti Bronzi di Riace.

L’interpretazione definitiva del ruolo nell’arte greca dei Bronzi di Riace è un mistero, che tuttora dura, ma dal 1972, anno del ritrovamento, ad oggi le due statue di bronzo hanno scritto un capitolo dell’arte mondiale.

Profilo

Le due statue in bronzo vengono ritrovate presso la località Porto Forticchio di Riace Marina in Calabria. Il recupero delle due statue non teneva conto dell’importanza del reperto storico, ed infatti fu eseguito con dei mezzi non appropriati. Eppure, i bronzi di Riace costituiscono, nonostante tutti i limiti del recupero iniziale, il più importante ritrovamento archeologico del Novecento.

Capolavoro bronzeo

La prima statua, detta statua A, è una scultura alta 1,98 metro raffigurante un Kuros (giovane) forte e in posizione stabile. La statua presenta una posa naturale e rilassata; la testa è lievemente inclinata di lato. Tutto l’apparato muscolare è turgido e guizzante, rappresentato nel momento della contrazione. La testa e i tratti del volto sono ricchi di dettagli.

Statua B

La statua B, invece, è più bassa dell’altra, di circa 1 cm. Tuttavia, la struttura e la posizione del corpo ricalcano quasi fedelmente la statua A e la testa presenta alcune differenze: la calotta cranica è liscia, dato che doveva essere nascosta dall’elmo (non ritrovato) e la bocca è chiusa, senza che siano visibili i denti.

Particolari del profilo

I bronzi di Riace sono certamente la rappresentazione di due opliti, cioè due guerrieri della fanteria pesante dell’antica Grecia. Non sono soldati qualsiasi,  tuttavia, dato che la rappresentazione della nudità nell’antica Grecia era invariabilmente riservata alle divinità, ragion per cui è possibile che si tratti di due eroi. Entrambe le statue sono state realizzate con la tecnica scultorea del bronzo, una delle più complesse. Il bronzo offre, infatti, all’artista possibilità senza limiti di modellamento, permettendo di disegnare dettagli molto sottili.

Dettagli minuti del volto

Tutti gli studiosi sono concordi nel collocare i bronzi di Riace nello stile tardo, ossia la fase della scultura greca collocabile nel periodo che va dal 400 al 450 a.C., che presentava una conoscenza anatomica più matura rispetto allo stile arcaico.

LA PROVENIENZA DEI BRONZI DI RIACE

Oggi, si è anche d’accordo sul fatto che i due bronzi siano stati prodotti da due officine diverse, una convinzione rafforzata dalla differenza del tipo di rame adoperato nei dettagli. Per quanto riguarda la paternità dell’opera, non si conosce ancora l’autore dei bronzi di Riace e le ipotesi sono le più diverse: una di queste è che a realizzarle sarebbe stato Pitagora di Reggio, importante bronzista attivo in quegli anni.

Profilo della Statua A

Sul motivo per cui si trovassero in quel preciso sito archeologico non si sa nulla né del viaggio che abbiano affrontato per arrivare fino a Riace. Inizialmente, si era pensato che i due bronzi di Riace facessero parte dello stesso monumento, anche se è difficile stabilire dove si trovasse esattamente. Una delle ipotesi maggiormente discusse è che si trattasse di un monumento dedicato all’impresa dei Sette contro Tebe, che si trovava nella Agorà di Argo e del quale sono stati individuati effettivamente altri resti.

Nonostante la ricerca sia stata approfondita e duratura, sono ancora troppe le questioni aperte per fornire una lettura univoca ed esaustiva sui bronzi di Riace. Una delle questioni più urgenti sembra essere quella sul numero effettivo dei bronzi esistenti, che viene sostenuta da alcune ipotesi. L’altra questione riguarda il viaggio dei bronzi, per cui non ci è dato sapere se fossero stati trasportati come bottino di guerra oppure fossero destinati ad un mercato collezionistico, e quindi inviati su nave attraverso il Mediterraneo per ragioni commerciali.

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Cultura Enogastronomia

Vino calabrese: metagenomica e archeologia

Il vino è una coltura per la quale è stato dimostrato l’effetto positivo del terroir calabrese, con un’antica storia risalente ai Greci, o persino prima ai Fenici, di sviluppo di vini pregiati. Il terroir dà buona prova di sè anche oggi, con almeno 12 DOC.

Il “concetto di terroir” è diventato popolare in molte parti del mondo. Originariamente sviluppato per il vino, ora viene applicato a molte altre colture di qualità, ma sicuramente e principalmente per il vino. Sebbene sia ben noto che il suolo del vigneto è uno dei principali fattori caratterizzanti il terroir, è altrettanto noto che le proprietà del suolo possano variare notevolmente anche all’interno di un singolo appezzamento, tanto che un vigneto, ad esempio, potrebbe produrre due o più tipologie differenti di vino. L’ottimizzazione dell’agricoltura in relazione alle caratteristiche del suolo è quindi l’obiettivo principale dell’agricoltura calabrese.

DNA, Analisi del terroir

METAGENOMIA DEL VINO CALABRESE

In Calabria, una parte considerevole di alimenti tipici, come latticini, olio d’oliva, vino, frutta e verdura e cereali godono di una vera e propria denominazione d’origine mediterranea. Infatti, sono protetti da una “denominazione di origine” e le metodologie analitiche utilizzate per l’identificazione geografica dei prodotti alimentari sono numerose, anche purtroppo ancora, e per lo più, sperimentali. I più importanti strumenti sono l’analisi del DNA e le tecniche cromatografiche, spettroscopiche e di spettrometria di massa.

L’analisi del DNA, utilizzando la metodologia DNA-barcoding, consente di identificare l’impronta digitale di ogni prodotto, garantendone origine e qualità.

Un’altra prospettiva molto importante per il vino mediterraneo e calabrese in particolare è quella delle sequenze di DNA “ambientali”, uniche per ogni specie o sottospecie, da utilizzare come ”codice a barre” per identificare un prodotto confrontandole con un database contenente le sequenze di tutte le specie conosciute. Questo approccio è chiamato “Metagenomica del vino”.

La tecnica è però sperimentale, come detto, e scarsamente implementabile. Solo nel 2009 è stato condotto, per la prima volta, in Sila un esperimento di metagenomica sulle patate (sono stati individuati tre tipi di terreno e i relativi marcatori metagenomici), l’estensione del metodo al vino è ancora solo una prospettiva futura.

Il processo è l’identificazione dei cosiddetti marcatori molecolari per la tracciabilità della filiera agroalimentare, tuttavia può diventare una nuova sfida per la tutela dei prodotti di alta qualità.

I fattori metagenomici: microbi, terreno e vite

Nel mondo, infatti, gli ultimi 2 decenni sono stati caratterizzati da un importante cambiamento negli approcci utilizzati per l’esame microbico, dovuto all’introduzione di metodi di community fingerprinting basati sul DNA come DGGE, SSCP, T-RFLP e ARISA. Questi approcci hanno consentito l’esplorazione delle strutture della comunità microbica senza la necessità di coltivare e sono stati ampiamente applicati per decifrare le popolazioni microbiche associate alla vite, nonché le dinamiche microbiche durante la maturazione degli acini d’uva e la fermentazione del vino.

Queste tecniche sono ben consolidate per la profilazione rapida e più sensibile delle comunità microbiche e questi approcci metagenomici all’ecologia microbica del vigneto svelano in particolare l’influenza delle pratiche di gestione del vigneto sulla diversità microbica.

Terroir calabrese del cirotano (KR)

ARCHEOLOGIA DEL VINO ED ENOLOGIA DEL MEDITERRANEO

Lo sviluppo di queste tecniche ha avuto ricadute anche sull’archeologia del vino.

Infatti, un tentativo molto importante di identificare l’origine metagenomica del vino di riso è stato fatto da alcuni scienziati cinesi (stiamo citando il noto articolo “Metagenomic sequencing reveals the relationship between microbiota composition and quality of Chinese Rice Wine”, Xutao Hong, Jing Chen, Lin Liu, Huan Wu, Haiqin Tan, Guangfa Xie, Qian Xu, Huijun Zou, Wenjing Yu, Lan Wang & Nan Qin, – in Scientific Reports volume 6, Article number: 26621, year 2016).

Il recente esperimento metagenomico sul vino di riso è molto interessante, se ricordiamo che ha permesso di identificare le prime tracce archeologiche di vino, le quali si possono trovare proprio in Cina, nel 7000 a.C., quando il primo tipo di vino della storia umana fu una miscela fermentata di miele, “riso ”, uva e bacche di biancospino. Inoltre, il vino di riso è ancora oggi una bevanda diffusa in Cina, mentre il primo vino puro di uva è databile al 6000 a.C. e geograficamente collocato nella regione della Georgia e del Caucaso in generale.

Recenti notizie del 2023 riferiscono, persino, che l’origine dell’uva e quella del vino, finora un mistero irrisolto, risalgano addirittura a 11mila anni fa, grazie a due eventi di domesticazione geograficamente separati da più di 1.000 chilometri, ma simili nel risultato.

Si sono verificati in Asia occidentale e nella regione del Caucaso. A ricostruirlo è stata la più grande analisi genetica mai condotta, che ha preso in esame oltre 3.000 campioni di vitigni provenienti anche da collezioni private ed esemplari mai documentati. Da quella zona la vinificazione si è poi diffusa nel mondo fenicio, greco e latino…

Mappa di Vitis vinifera (periodo neolitico). Credito immagine: rivista Science

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science, conquistando anche la copertina, dal gruppo internazionale guidato da Chinese Agricultural University of Yunnan, State Laboratory of Agricultural Genomics di Shenzhen e Chinese Academy of Sciences di Pechino, con la collaborazione italiana del Università di Milano, Milano-Bicocca e Mediterranea di Reggio Calabria, del Centro Nazionale per la Biodiversità (Nbfc) di Palermo e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr).

In particolare, gli scienziati cinesi hanno studiato l’influenza della composizione microbica sulla qualità del vino di riso e il sequenziamento è stato eseguito per 110 campioni di vino sul gene 16S rRNA batterico e sullo spaziatore trascritto interno II (ITS2) fungino.

Le analisi bioinformatiche hanno dimostrato che la metagenomica del vino di riso è contrassegnata da Lactobacillus brevis. Questi risultati non hanno solo avuto risvolti decisamente importanti per l’acheologia del vino, ma hanno anche portato, più praticamente, alla conclusione che i metabolismi dei microbi influenzano la qualità del vino e possono segnarlo.

PROSPETTIVE: ENOLOGIA CALABRESE E ARCHEOLOGIA DEL VINO

Le nuove tecniche di Metagenomica sono un nuovo campo aperto per dimostrare la migliore qualità dei suoli calabresi e dei loro vigneti. Inoltre, l’archeologia del vino può avvalersi di questo metodo per indagare la storia del vino nel meridione d’Italia, come patrimonio ambientale della storia fenicia, greca e latina nei vini calabresi.